Glove

 

Progetto Vincitore “Call for Entry 2014”

 

“Ho odiato mio padre per gran parte della mia vita”.

Avevo appena cinque anni quando mio padre ebbe un crollo dovuto al disturbo bipolare e venne mandato in una clinica psichiatrica. Gli eventi traumatici che ne seguirono furono determinanti per la mia relazione con lui: attacchi violenti seguiti da intere giornate passate a dormire sul divano, doverlo recuperare e mettere a letto dopo l’ennesima sbronza, le telefonate nel cuore della notte quando non sapeva dove andare, i soldi per pagare la cauzione e tirarlo fuori di galera.

Per gran parte della mia vita ho provato rabbia, imbarazzo e vergogna per chi e cosa era diventato. E’ morto nel 1992. Ho messo le sue ceneri dentro un armadio e mi sono lasciato tutto alle spalle – o almeno, questo è ciò che pensavo.

Nel 2011 ho dato il via a un progetto fotografico intitolato Glove (Guanto), cercando di riuscire a ricreare un rapporto con mio padre esplorando quello che sarebbe potuto essere un rapporto normale, da adulti, con lui. Ho iniziato immaginando che lui vivesse con me, fotografando gli oggetti in casa mia che gli appartenevano: un portafogli sul comodino, il rasoio sul lavandino in bagno, un guanto da baseball nello sgabuzzino. Li ho fotografati in grande e direttamente, nel tentativo di dissolvere i ricordi nella mia testa di un uomo fragile, fallito, sostituendoli con immagini forti e mascoline.

Un passo dopo l’altro, il processo si è integrato sempre più alle immagini create. Ho scavato nel suo passato professionale, scoprendo un uomo diverso da quello che avevo conosciuto – un uomo di cui potevo essere fiero: capitano della sua confraternita, miglior venditore a IBM e 3M, Presidente dei NY Jacees, MBA a Seton Hall (preso diversi anni DOPO il suo crollo psicologico). Ho fotografato un anello del college, un libro intitolato “Come farsi degli amici e influenzare gli altri”, una valigia. Immagini che hanno colmato un vuoto enorme con una storia ammirevole.