“Narcise sans miroir”

Narciso senza specchio

 

Trattiamo qui di un uomo che non vede e che, tuttavia, ci offre delle immagini da guardare.
La situazione è generosamente paradossale – e ancor più stimolante in quanto ci lascia capire che le immagini che contano veramente non provengono dall’esterno, ma dall’interno.
(…)
Evgen Bavcar, più di chiunque, è incontestabilmente un artista concettuale, perché egli non conosce la sua opera se non per l’idea che se ne è fatto.
Bavcar, quindi, come molti altri artisti, ci fa vedere le immagini che arredano la sua testa. Queste sono immagini che può vedere. Ma egli non ce ne mostra che l’idea, trasposta in immagine su carta fotografica.
Io ho delle grandi riserve su ciò che costituisce il principio stesso del concettualismo – ovvero un’arte che fa dell’immagine una semplice illustrazione del concetto. Ciò mi appare come un capovolgimento totale di ciò che fin dal principio è stato non soltanto il processo dell’arte ma il processo cognitivo nel suo insieme.
Questa è senza dubbio una conseguenza del capovolgimento della Corrente del Golfo mentale della società moderna. In effetti, il processo cognitivo, da millenni, ci accompagna dall’inconscio al conscio – dal desiderio sconosciuto al riconoscimento di tale desiderio, nel corso di un lavoro che mostra il suo riflesso nell’immagine del sogno o della visione e gli permette così di ricevere un nome – nome che lo introduce nel discorso della comunità.

Bavcar ci parla del suo vissuto. L’arte infatti non dipinge il mondo, bensì l’esperienza singolare, che è la nostra presenza nel mondo. E la cecità che l’ha colto ci permette, come dice Shakespeare, di “vedere l’oscuro che il cieco può vedere” – come dire che l’immagine ci si presenta come il messaggero del nostro oscuro desiderio di essere.
Michael GIBSON (critico d’arte), Maison Heinrich Heine , 8 ottobre 2010 (estratti)